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Intervista di Manageritalia al coordinatore comitato tecnico-scientifico Tommaso Nannicini

Manageritalia – la Federazione nazionale dei dirigenti, quadri ed executive – ha pubblicato un’intervista al nostro coordinatore del comitato tecnico-scientifico, Tommaso Nannicini.

Professore ordinario di Economia politica all’Università Bocconi, Nannicini ha pubblicato sulle maggiori riviste internazionali di economia e scienza politica e ha insegnato anche all’Università di Harvard e all’Università Carlos III di Madrid. È stato senatore della Repubblica fino al 2022 e presidente della Commissione parlamentare per il controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale e di ricerca scientifica.

 

La nostra idea si è sviluppata intorno alla triplice declinazione del prefisso RE, che è anche alla base del nome Obiettivo REmain.

Ha raccontato a Manageritalia cos’è Obiettivo Remain e qual è il suo impatto in termini economici e sociali. Remain vuole contrastare il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, che “costa il 10% del Pil”. Un problema che non incide solo il Sud e le Aree Interne, ma di rilevanza nazionale.

Nannicini illustra come è nata l’idea di Remain e dei Rebox: “La nostra idea si è sviluppata intorno alla triplice declinazione del prefisso RE, che è anche alla base del nome Obiettivo REmain. REmain working. Ovvero realizzare un modello in grado di consentire alle persone di restare nei luoghi, che è qualcosa di diverso dal vederli ritornare.” Chi resta, quindi, lavora in centri di lavoro da remoto chiamati Rebox, che “nascono da un’idea di recupero di immobili dismessi o sottoutilizzati di cui i borghi e i centri storici del Mezzogiorno e delle aree interne sono pieni.” Per queste idee è stato coniato il termine Reworking, un nuovo modello di lavoro, tanto distante (fisicamente) dal lavoro tradizionale quanto dallo smartworking.

Il target di riferimento – spiega il professore – sono soprattutto le imprese “che intendono allargare le opportunità di ricerca di personale” e abbiano un’apertura mentale e uno spirito di imprenditorialità tale da intraprendere questo progetto innovativo.

Sottolinea, inoltre, che Remain ha come tratto distintivo quello di essere senza scopo di lucro, sotto forma di impresa sociale iscritta nel Registro Unico del Terzo Settore. Ciò comporta una maggiore credibilità con gli interlocutori, nella certezza che “in un’Italia sempre più polarizzata tra aree fortemente imprenditoriali, popolose e gentrificate e zone quasi spopolate e svuotate di forza lavoro qualificata, Obiettivo Remain, con il suo Reworking, prova a invertire la rotta.”

Per leggere l’intervista completa: https://www.manageritalia.it/it/management/lavorare-da-remoto-sud-italia-remain-tommaso-nannicini

 

Cambia il lavoro, cambiano le città, cambia l’Italia: Lo smart working nel post-pandemia tra legge e contrattazione

UNO SGUARDO D’INSIEME

di Titti Di Salvo

La portata del cambiamento innescato dallo smart working (o lavoro agile) sulla vita delle persone, delle imprese e delle città è stata paragonata dal sociologo Domenico De Masi a quella della rivoluzione fordista e taylorista di inizio Novecento. Il carattere del cambiamento non è già scritto e non è neutro. Dipenderà dalla lungimiranza delle scelte con cui se ne affronteranno i limiti e se ne valorizzeranno i vantaggi.

 

1. Lo smart working non è un cambiamento transitorio

Secondo Christine Lagarde,smart working riguarderà in Europa in via permanente il 20 per cento delle attività lavorative. L’Osservatorio del Politecnico di Milano prevede che nell’Italia post-Covid ci sarà almeno un terzo delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti in smart working. Per Unindustria di Roma, dopo la pandemia, il 40% delle attività lavorative potrebbe essere svolta in modalità agile nella Capitale. Perché se non tutti i lavori in futuro potranno essere svolti da remoto, a Roma, città del terziario, si concentrano molte delle attività che possono esserlo. Lo smart working cambia il rapporto tra le persone, il lavoro e l’impresa. Cambia le imprese pubbliche e private e la loro l’organizzazione. Cambia il rapporto tra il tempo dedicato dalle persone al lavoro, alla cura, al divertimento e stravolge la distinzione degli spazi in cui si svolgono i diversi momenti della loro vita e della vita delle città.
Certo, ciò che abbiamo visto in questi mesi assomiglia più al telelavoro ma è sufficiente per valutarne l’impatto, per apprezzarne i vantaggi e leggerne i limiti, che dal punto di vista delle lavoratrici, dei lavoratori e dell’impresa andranno affrontati con la contrattazione collettiva aziendale e territoriale e con una legge leggera di sostegno: dalle regole sulla disconnessione e sulla formazione, a quelle sul salario e sull’orario, alla revisione dei processi organizzativi delle imprese e al ruolo del management.
Maurizio Del Conte nel suo saggio di seguito ci indica la strada da seguire di fronte al cambiamento del baricentro della prestazione di lavoro: dal “dove e quando” a “cosa”. Maria Giovanna Onorato ci guida nella lettura dell’impatto del lavoro agile nella pubblica amministrazione, per gli utenti oltre che per chi vi lavora, e ci consentirà di leggere meglio la provocazione di Pietro Ichino sullo smart working pubblico come “sine cura”. Alcune certezze meritano dunque di essere elencate in premessa alla lettura degli approfondimenti specifici che seguono: lo smart working non fa rima con home working. Non è uno strumento di conciliazione dedicato alle donne. È una modalità flessibile di lavoro. Cambia le città e cambia l’Italia.

 

2. Smart working non fa rima con home working

Il lavoro da remoto nel lockdown più duro ha consentito la continuità dell’attività produttiva altrimenti impossibile. E in quei mesi ha necessariamente coinciso con il lavoro da casa. Fuori dal lockdown la coincidenza dello smart working con l’home working non è per nulla obbligatoria. Le inchieste di questi mesi sul gradimento della modalità da remoto hanno avuto risposte omogenee su vantaggi e svantaggi. Tra gli svantaggi quello che viene maggiormente segnalato è la mancanza di socialità. L’isolamento nella dimensione casalinga cioè, con tutti i suoi risvolti negativi: di mancanza di riconoscimento sociale e di accrescimento professionale attraverso lo scambio di esperienze. Di indebolimento delle tutele: nella cultura del lavoro la dimensione collettiva è stata quella dei diritti e della dignità del lavoro.
Conseguenze negative vengono segnalate anche per la qualità della connessione o per la dotazione informatica inadatta, con costi a carico delle persone. Ma il lavoro da remoto non è necessariamente lavoro da casa. I coworking, spazi condivisi di lavoro, sono luoghi attrezzati con servizi, dotazioni informatiche e standard di sicurezza accertati e accertabili. Il comune di Milano ha un albo per coworking accreditati, una convenzione con Assolombarda per utilizzare a quel fine palazzi dismessi oltre che palazzi di proprietà pubblica, e sta sperimentando nearworking, di prossimità, in modo da non disperdere i vantaggi acquisiti dalla cancellazione dei tempi dello spostamento casa lavoro. A Roma un co-working, l’Alveare, aveva conquistato le pagine del New York Times. Era gestito da una cooperativa di giovani donne e offriva anche servizi ai genitori per la cura dei bambini al di fuori degli orari dei nidi o in loro assenza. La miopia dell’amministrazione ne ha determinato la chiusura.

 

Obiettivo Remain: Rotte Economiche nel Mezzogiorno e nelle Aree Interne

Obiettivo Remain

Rotte Economiche nel Mezzogiorno e nelle Aree Interne

di Isabella Montagna e Massimo Di Filippo

Addio digital divide: arriva obiettivo Remain

E se fossero delle rotte virtuali a rompere le barriere del nostro paese? Sembra rivoluzionario solo immaginarlo, eppure, non è tutto: chiudiamo gli occhi, immaginiamo di essere a Messina e partecipare ad un progetto su Milano, facendolo senza prendere navi, senza prendere treni, senza lasciare la propria terra, senza doversi cercare una casa in “terra straniera”. Sognamo ancora: immaginiamo di poterlo fare da un ufficio moderno e attrezzato che prima era un contenitore pubblico dismesso, un bene immobile abbandonato magari. Un’azienda vera, insomma, dove si può passare il badge a chilometri di distanza.

Su queste premesse, Volare sta lavorando insieme ad altre associazioni, fondazioni ed enti territoriali ad Obiettivo Remain, un progetto di promozione sociale che si propone di andare avanti con azioni territoriali mirate a creare – o RE-cuperare – nelle aree interne del nostro Paese degli spazi di co-working per giovani laureati formati e selezionati ai quali le agenzie del lavoro troveranno occupazione da remoto in altre parti del Paese.

E, visto che sognare è gratis ma realizzare un sogno dà più soddisfazione, a questi spazi di co-working dove si passa il badge, uniamo un supporto a lavoratrici, lavoratori e imprese che arriva attraverso ricerca e selezione, ICT, formazione e affiancamento, dando alla risorsa non solo un riferimento all’azienda per cui lavora, con cui realizza un collegamento gerarchico, ma anche con Remain per la crescita delle competenze e lo scambio di esperienze. Ogni Centro Remain, infatti non si limiterà a mettere a disposizione coach, tutor e selezionatori in grado di dare supporto alle risorse umane con gap esperienziale e a rafforzarne le soft skills, ma collaborerà con gli attori del mercato del lavoro per favorire il match tra domanda e offerta, abbattendo ogni distanza geografica.

Sì, stiamo dicendo addio al digital divide, ma, soprattutto, stiamo dicendo addio al “muro” fra le aree a rischio di spopolamento (come il Sud e le aree interne del Centro Nord), e quelle a forte densità imprenditoriale del Nord Italia.

“Il divario fra Nord e Sud verrà colmato solo nel 2020”: cosa è cambiato a un anno dalla pandemia

“Il divario fra Nord e Sud verrà colmato solo nel 2020”, questa la previsione del professor Pasquale Saraceno espressa in un rapporto per il ministero del bilancio pubblicata sul Corsera di un lontano mercoledì 13 settembre del 1972. E, siccome negli anni ’70 era opinione diffusa che nei primi decenni del nuovo millennio le macchine avrebbero volato, nessuno avrebbe messo in discussione tale previsione nè, certamente, alcuno avrebbe pensato che, alle porte del 2020, nel pieno di una pandemia, quella pagina del Corriere della Sera sarebbe tornata in auge come triste monito di un’aspettativa tramontata.

Nel 2020, infatti, nulla è cambiato. Macchine volanti non pervenute. Però, per assurdo, è stata una pandemia a darci nuovi strumenti di conoscenza. E nel 2021, con un anno di ritardo, possiamo dire che uno di questi è senza dubbio lo smart working, con pregi e difetti, si intende. I pregi sono declinabili in tante cose: qualità del lavoro sì, ma soprattutto qualità della vita, anche se mesi di lockdown e zona rossa-arancione ci hanno ricordato violentemente l’importanza dei rapporti umani, del contatto umano, dello stare insieme, insomma.

E ora, arriviamo al punto: se bastassero una riformulazione dello smart working e una efficiente allocazione delle risorse nei giusti spazi di co-working a realizzare la – più che previsione – profezia del Prof. Saraceno?

Evolvere, in fondo, è quello che siamo chiamati a fare.

Obiettivo Remain si propone proprio questo. Partendo dalla premessa che il Sud e le aree interne del nostro paese subiscono processi di continua emorragia di risorse umane, mentre, allo stesso tempo, nelle aree più evolute da un punto di vista imprenditoriale si fatica a reperire risorse umane qualificate.

RE come Re-main, re-cupero, re-box, re-mote working

Remain, ovvero Rotte Economiche nel Mezzogiorno e nelle Aree Interne, aprirebbe così delle rotte virtuali fra aree diverse e distanti, andando a riequilibrare competenze e demografia, creando le condizioni per un efficiente incontro fra domanda e offerta e facilitando l’incontro di saperi.

Remote working VS smart working: è il REbox a fare la differenza

Saperi appositamente selezionati dalle agenzie del lavoro, che abitano luoghi non virtuali ma RE-cuperati: i REboxovvero degli uffici – dei veri e propri uffici – attrezzati e moderni. Questo a riprova del fatto che Remain non si limita ad una semplice promozione del lavoro agile, nonostante – questo sì – utilizzi vantaggi e flessibilità offerti dalla normativa di riferimento.

E sono fondamentali per comprendere la portata del progetto, perché re-mote working e smart working sono cose diverse.

Fra le principali differenze vi è quella in virtù della quale lo smart worker  ha un accordo con il datore di lavoro che presuppone flessibilità e autonomia che consente al dipendente di gestire non solo il proprio tempo, ma anche il luogo dal quale svolgere il proprio lavoro. Il reworker, invece, non solo non lavora in solitudine, né in autogestione, ma lo fa in un’azienda vera e propria, sia pur distante dal datore di lavoro, con l’obbligo di rispettare i vincoli stabiliti nel contratto in merito al luogo di lavoro, agli orari e altri aspetti relativi al caso di specie. Una rivoluzione per le PMI, in quanto destinato ad una platea di gran lunga più estesa degli smarworkers. I contenitori, oltre a svolgere la funzione di coesione e rivalutazione del territorio, hanno anche la funzione, simbolica ma allo stesso tempo concreta, di creare appartenenza al progetto, fungendo da fertilizzante di ecosistemi esterni.

In poche parole, il REbox non si presenta come un generico lab di coworking, ma come una vera e propria dislocazione d’azienda, insomma, un’azienda remota

Questo ci dice Massimo di Filippo, Presidente Impresa Sociale Remain.

Ed è proprio questo il passaggio che consente anche di convincere il piccolo imprenditore ad adottare forme di lavoro remoto, passando gradualmente dall’orientamento al compito a quello al risultato.

I vantaggi di un’azienda remota per lavoratrici

La logica del “timbrare il cartellino” sarà certamente superata in quanto parte del retaggio del passato, ma ogni cambiamento, del resto, richiede un tempo di adattamento. La costruzione di aziende remote dove alcuni di questi aspetti, come un tempo certo di lavoro e un luogo non domestico vengono preservati, diventa uno strumento di cambiamento e questo consente a lavoratrici e lavoratori occasioni di lavoro nei territori in cui sono cresciuti e radicati, di avere una vita più facile, capace di coniugare senza rinunce il carico di cura domestico e la vita professionale.

E questo vale per tutti i lavoratori, certo, ma senza dubbio può giovare alle lavoratrici in quanto è un fatto noto che molto spesso, quando il luogo di lavoro è lontano dalla propria abitazione, a subirne le conseguenze di una rinuncia o – peggio ancora – di una perdita, sono, nella maggior parte dei casi, proprio le lavoratrici.

Abbattimento del muro, rotte digitali, rivalutazione del patrimonio, valorizzazione del territorio, incrocio di saperi ed esperienze, e facilitazione della vita delle donne lavoratrici in un unico, grande progetto.

Insomma, se nel ’72 parlare di remote working era difficile, se non impossibile, oggi non solo si presenta come l’unico strumento in grado di realizzare la profezia del Prof. Saraceno, ma, senza dubbio, rappresenta modo il più efficace per farlo, e senza bacchetta magica.